La vita monastica di Brugora
Le giovani che aspiravano alla vita monastica erano tante, sembrava che le vocazioni nascessero oltre che per la devozione per Cristo, anche per assicurare da parte delle famiglie, un futuro migliore alla propria figlia, per ovviare a finte vocazioni, le novizie erano scrupolosamente esaminate da un sacerdote, che redigeva un documento sulla loro salute spirituale. Superato questo primo esame, le giovani aspiranti venivano sottoposte al giudizio delle monache, che risiedevano nel convento. Infine il Cardinale, dava il benestare alla madre superiora, per l’ingresso alla vita monastica. La nominata doveva avere necessariamente 21 anni compiuti, una dote finanziaria di un certo spessore, usata come obolo per il sostentamento del monastero.
Si ricorda che il 20 settembre 1790 la novizia Rosa Vimercati, desiderosa di entrare a far parte della famiglia religiosa, fu respinta con la motivazione di non avere compiuto l’età stabilità, solamente per tre mesi. Le celebrazioni dell’avvenuta vestizione delle novizie, dovevano essere svolte da un rigido protocollo, che imponeva la sola presenza dei genitori e parenti di primo e secondo grado; che non vi siano rinfreschi, ne in chiesa e ne in altro luogo; per ultimo, che la funzione terminasse entro le ore 12. La Badessa s’impegnava che durante la vestizione non si avesse sfoggio, ne di festoni, ne di altre forme di giubilo, che portassero a spese superflue. La vestizione era svolta alla presenza di un vicario delle suore, alternandosi anche il curato di Monte; il curato di Besana oppure il prevosto di Missaglia e solo in alcuni casi di particolare importanza, vi era la presenza di un alto prelato, come nel 1504, che, per la vestizione di Giulia Casati, partecipò il monsignore Donato Ferrari, Ordinario del Duomo di Milano, presenza di sicuro giustificata, per l’appartenenza alla nobile ed importante famiglia Casati. La vita del monastero si svolgeva con rigida educazione, e oltre la preghiera vi erano delle mansioni che tutte le suore svolgevano per portare avanti il complesso religioso.
Un elenco degli incarichi, pervenutoci dalle monache, fu fatto il 25 aprile 1599, ove si leggevano ben 22 tipi di mansioni diverse, tra le quali: tre suore denominate “discrete ascoltatrici” adibite al delicato compito di assistere alle conversazioni svolte alla grata, con il mondo esterno, da parte di altre suore che potevano ricevere visita, solo attraverso, il tipico divisorio a maglie di ferro, che la clausura imponeva, vi era la maestra delle novizie, che impartiva le nozioni di vita monastica, l’addetta al grano, ruolo importante per il sostentamento alimentare, l’infermiera per quel poco che poteva fare, visto l’epoca e i mezzi a disposizione, la maestra del coro, che insegnava le lodi e la lettura del pentagramma, l’addetta alla filatura di canapa, denominata “canepar”, e la rispettiva suora addetta alla seta “Saritera”, per poi continuare con la lavandaia, l’ortolana e la “polara” la monaca dedita alla cura del pollaio. Nel 1786, le attività dedite al monastero, furono interrotte per far sì, che le monache potessero scegliere delle attività utili anche per la società.
Per le decisioni importanti venivano convocate tutte le monache, si andava per votazione, verbalizzando con la seguente formula, “convocate et congrate le infrascritte RR.DD abbatissa et moniales venerandi monasteri sanctorum Petn et Pauli loci Brugora Plebis Aliati, ultra Lambrum, ducati Mediolani, in eorum solito Iocutorio interiori, in quo convocatiet congregati solent pro negotiis dicti eorum venerandi monasteri tractandis, et stabilendis, premisso sono campanilli ut moris est demandato et imposizione Reverenda Donna…”. Nei primi anni dalla fondazione il numero delle monache era esiguo, troviamo traccia di questo, con un documento che attestava che nel 1133 le monache erano otto di cui cinque della famiglia Casati, situazione immutata anche nel 1399, al contrario tra il periodo che va dal 1461 al 1599 troviamo un rifiorire della fede monastica, toccando un vero record nel 1564 con un totale di 48 unità, fra suore e converse. Le Abbadesse in un primo tempo venivano nominate a vita, con la supervisione della famiglia Casati, fu dopo la morte di Stefanina Giussani, e con Beltramina da Omate, che le nomine furono ridotte a tre soli anni.
Conosciamo il nome di 55 Abbadesse, da Nicodilla Casati, che fù la prima, ad Angiola Bonanomi, ultima abbadessa del monastero, eletta il 20 ottobre 1795. La vita all’epoca non era sempre dettata dalla preghiere e dall’amore per Cristo, numerosi trascorsi vi furono ad travisare la tranquillità del monastero, come: la peste, le carestie, e per mano dell’uomo guerre atrocissime, tanto che il monastero fu abbandonato. Nel XV secolo, per l’accanimento tra fazioni guelfe e ghibelline, e nel 1658, dove in parte le monache fuggirono, a causa del nemico francese che passò l’adda, arrivando fino a loro. |